I gatti italiani sono pronti per i cat-café?

I gatti italiani sono pronti per i cat-café?

I cat café sono dei locali in cui è possibile non solo consumare un caffè o un tè, ma anche interagire e giocare con i gatti presenti al loro interno.

L’esperienza del cat-café nasce in Giappone, dove le regole di affitto, lo stile di vita e le dimensioni medie degli appartamenti nelle grandi città creano difficoltà all’adozione di animali in famiglia.

Cat café Neko café giappone

L’esperienza del cat-café nasce in Giappone e si sta diffondendo in tutta Europa. Questi locali potrebbero però non essere l’ideale per i gatti. Fonte: Dozo Domo / Flickr

Questo tipo di locale soddisfa il desiderio naturale di molte persone a interagire con i gatti. In molti casi coesistono buoni propositi di “salvare dalla strada” animali abbandonati. Tuttavia non vi sono studi sull’adattamento dei gatti giapponesi a questa nuova situazione, e nel frattempo la moda dei cat-café si sta diffondendo in tutta Europa, Italia compresa.

Ma se gli scienziati che da decadi studiano il comportamento del gatto non sono ancora in grado di predire quali soggetti saranno in grado di adattarsi a specifiche situazioni e quali no, come possiamo essere certi che i cat-café siano una buona idea? L’articolo Are Britain’s cats ready for cat cafés? del professor John Bradshaw, studioso di fama mondiale, fondatore e direttore dell’Anthrozoology Institute presso l’Università di Bristol, pone molti dubbi.

Mettiamo quindi da parte il comprensibile entusiasmo e riflettiamo su alcuni motivi per cui questi locali potrebbero non essere l’ideale per i nostri amici gatti.

1) Difficoltà di convivenza tra gatti

Difficoltà di convivenza tra gatti

I gatti hanno spesso difficoltà di convivenza con i conspecifici, soprattutto in ambienti e gruppi creati dall’uomo.

Il primo motivo è che sono note le difficoltà di convivenza del gatto con suoi conspecifici, soprattutto in ambienti chiusi e in gruppi creati dall’uomo.

Per i gatti la convivenza in condizioni spontanee è basata su un’alleanza tra femmine, tipicamente una madre con alcune figlie adulte. I maschi possono essere talvolta “adottati” da alcuni gruppi, ma più spesso conducono vita solitaria, in competizione tra loro.

Molto diverso è l’ambiente creato dall’uomo, in cui gli animali sono sterilizzati e l’associazione degli individui non è spontanea. I gatti conviventi spesso giungono a un compromesso di mutuo rispetto, talvolta suddividendo lo spazio in territori separati, ma di rado giungono a vere situazioni di affiliazione.

Più spesso insorgono problemi di salute stress-correlati (cistiti idiopatiche, dermatiti ecc.) o si manifestano comportamenti indesiderati quali minzione e defecazione in luoghi “inappropriati”.

2) I gatti non amano gli sconosciuti

Il secondo motivo è l’andirivieni continuo di persone all’interno del territorio, fattore già di per sé stressante per molti soggetti. Chi ha avuto più di un gatto, ne avrà facilmente conosciuto almeno uno che dimostrasse fastidio all’ingresso di uno sconosciuto in casa. Fastidio che non si manifesta solo con la fuga, ma talvolta anche con ispezioni accurate e controllo degli estranei fino a che questi restano in casa.

Gatto sospettoso con gli estranei

La maggioranza dei gatti non ama gli sconosciuti: cerca il contatto solo con le persone che conosce, ed evita il più possibile gli sconosciuti.

Va considerato che le persone entrano nei cat-café con lo specifico obiettivo di interagire con i gatti: poco importa se all’ingresso è richiesto chiaramente di non disturbare i gatti che riposano e di non interagire se non sono loro ad avvicinarsi per primi.

Esistono gatti socievoli che gradiscono e ricercano attivamente il contatto con le persone, mentre altri, pur affezionati al loro gruppo familiare umano, a malapena tollerano il contatto.

Tra un estremo e l’altro sta la maggioranza dei soggetti, che cerca il contatto con le persone che conosce ed evita il più possibile gli sconosciuti.

Vari fattori possono influenzare la propensione dei gatti all’interazione con l’uomo, come:

  • una corretta esposizione durante la fase di socializzazione;
  • differenze individuali di origine genetica ed epigenetica;
  • esperienze/traumi pregressi.

Il risultato purtroppo non è prevedibile a priori.

Oltretutto, in un cat-café si pretende dal gatto un’interazione quotidiana, continua e ripetuta, con perfetti sconosciuti.

Esistono gatti “da bar”, che scelgono spontaneamente di vivere in un locale pubblico, ma si tratta di casi rari.

Lo stress nei gatti

I gestori di questi locali si impegnano ad applicare robuste procedure per prevenire esperienze stressanti ai gatti residenti e hanno spesso buoni propositi di offrire un rifugio a gatti bisognosi. Ma come valutare lo stress?

La misura del livello di benessere felino è ben lontana dall’essere una scienza esatta. Il Cat-Stress-Score basato su valutazione di comportamenti e posture, è nato per comparare situazioni diverse vissute dallo stesso gatto. Perde di significato quando si cerca di comparare gatti diversi in situazioni simili, perché alcuni soggetti dissimulano la sofferenza più di altri.

Infine che sarà dei gatti adottati dai cat-café che in seguito risultano inadatti a quel tipo di vita? Questi locali rischiano di adottare i soggetti che avrebbero più probabilità di trovare adozione in famiglia, mentre quasi certamente dovranno escludere proprio i più bisognosi.

Cat Stress Score

Cat Stress Score (Kassler & Turner, 1997)

Approndimenti

Alda Natale

Veterinario dirigente, è direttore della struttura complessa SCT3 – Padova e Adria. Diagnostica in sanità animale dell’IZSVe. Si occupa di diagnosi sierologica e virologica delle malattie infettive dei mammiferi e zoonosi, attività di ricerca in ambito zoonosi e sanità animale, analisi per i piani di profilassi nazionali e regionali. Si è laureata all’Università di Bologna, dove ha conseguito la Specializzazione in sanità animale, allevamento e produzioni zootecniche e dove ha seguito un corso di perfezionamento in Sorveglianza Sanitaria delle Popolazioni Animali. Nel 2004 ha conseguito il Dottorato di ricerca in sanità pubblica, igiene veterinaria e delle produzioni animali all’Università di Padova. Nel 2014 ha conseguito il titolo di referee in Consulente della relazione felina ed è iscritta al relativo albo SIUA. Nel 2018 ha conseguito il titolo di Master di secondo livello in Medicina Comportamentale del Cane e del Gatto con approccio Cognitivo Zooantropologico ed è iscritta all’elenco FNOVI dei Medici Veterinari Esperti in comportamento.

2 commenti

  1. L’articolo di mc cobb è del 2005, c’è un refuso.